La mostra intende proporre un percorso attraverso il mondo creativo di uno dei maggiori artisti dell’arte del novecento.L’artista esponente della corrente surrealista, assieme a Picasso e Dalì, forma quello straordinario trittico di artisti spagnoli che hanno cambiato il corso della storia dell’arte. La mostra, che assumerà un carattere antologico, si avvarrà di una sezione dedicata alla collaborazione con la famosa rivista Derrière le Miroir, edita dalla mitica galleria Maeght, per la quale realizzò quelli che vengono definiti veri capolavori di grafica.Attorno a questa straordinaria sezione vi saranno dipinti, disegni, ceramiche , libri e fotografie a documentare tutto il suo percorso creativo. Il progetto intende portare in evidenza la figura di Joan Miró, il grande artista spagnolo, attraverso una selezione di opere a carattere antologico che racconteranno l’avventura nella gioia di vivere di Miró il cantore del calore, del segno, e dell’aspetto gioioso e ludico dell’arte. La mostra, che si avvale di prestiti provenienti da importanti musei spagnoli e francesi conta la presenza di circa 80 opere tra dipinti, tempere, acquerelli, disegni, sculture e ceramiche, oltre ad una serie di opere grafiche, libri e documenti.Il percorso espositivo sarà accompagnato da una importante sezione fotografica e da alcuni importanti video che racconteranno il privato e il pubblico del grande maestro del surrealismo europeo.Le varie aree tematiche dell’esposizione illustreranno e racconteranno l’avventura nella gioia di vivere di Miró il cantore del colore, del segno, e dell’aspetto gioioso e ludico dell’arte.
La mostra propone una selezione di opere realizzate da più di trenta artisti argentini di diverse generazioni negli ultimi cinquant'anni. Attraverso sculture, installazioni, fotografie, video e performance, il progetto curatoriale si sviluppa su tre assi - ironia, letteralità e citazione - che presentano differenti modalità di approccio alla rappresentazione di una cultura spesso caratterizzata, in passato così come oggi, da forme di violenza. Situazioni e attitudini che superano le congiunture e si installano in una domanda sul futuro e su quali sono le battaglie sociali da combattere, in Argentina e nel resto del mondo. Un percorso eterogeneo che cerca anche di raccontare e di far emergere le tante sfumature e le molteplici forme di espressione di un paese che per anni è stato la meta principale delle grandi migrazioni europee.
A conclusione dei suoi studi all’Accademia di Basilea e dopo essersi trasferito a Parigi, Jean Tinguely (Friburgo 22 maggio 1925 – Berna 30 agosto 1991) capisce fin da subito che la sua aspirazione lo condurrà verso una ricerca artistica che si distacca dai linguaggi tradizionali. Lo scultore svizzero entrerà a far parte del gruppo di artisti che il 27 ottobre del 1960 a Parigi, sottoscriveranno il Manifesto del nuovo realismo, definito così da Restany. Presso l’abitazione di Yves Klein, si getteranno le basi per una ricerca di nuove metodologie di intuizione del reale. Tinguely rifiuta la scultura come mezzo di celebrazione, rivestendola di una nuova veste che gli porterà grande fama. Nel 1961 egli parteciperà ad importanti mostre di arte cinetica ad Amsterdam, a Stoccolma e a Copenaghen, così che il movimento diventa il centro dei suoi interessi. Dalle prime sculture astratto – cinetiche in metallo di ispirazione surrealista, in un secondo momento metterà in pratica una serie di sperimentazioni dalle quali nasceranno quelle opere definite neodadaiste e quelle di impianto monumentale. Nel tempo, le sue macchine diventeranno sempre più interattive per avvicinare il pubblico alla sua arte. Di fatto, nel 1967 debutteranno le Rotozazas, marchingegni che richiederanno la partecipazione dello spettatore che dovrà giocare con esse. Oltre al metallo utilizzerà anche altri materiali, come il legno carbonizzato di travi, insieme a crani di animali e macchine agricole bruciate, usati per la serie di sculture Mengele Totentanz che trattano il tema della morte. Impressionanti le Kanonen, vere e proprie macchine esplosive. Tra le ultime imprese realizzerà delle sculture dalle dimensioni gigantesche, come La Testa, iniziata nel ’69 e mai conclusa. A trent’anni dalla scomparsa, Tinguely rimane colui che ha voluto donare la vita alle proprie opere e all’arte nel suo concetto più ampio, non più mezzo di espressione ma espressione viva e reale essa stessa.Sono un artista del movimento. Ho cominciato facendo pittura, ma mi sono arenato, ero in un vicolo cieco.Jean Tinguely
Dal 17 novembre 2023 al 14 gennaio 2024, Palazzo della Ragione a Bergamo sarà teatro di una straordinaria operazione artistica e culturale. In occasione di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023, uno dei più antichi palazzi comunali d’Italia accoglierà la mostra di Yayoi Kusama (Matsumoto, Giappone, 1929), l’artista più popolare al mondo, secondo un sondaggio condotto dalla rivista The Art Newspaper, che porterà nel cuore della città orobica Fireflies on the Water una delle sue Infinity Mirror Room più iconiche, proveniente dalla collezione del Whitney Museum of American Art di New York. “È una mostra ambiziosa e speciale – afferma il curatore Stefano Raimondi, fondatore e direttore di The Blank Contemporary Art -, resa possibile da un progetto articolato, che ha richiesto due anni di lavoro, e dai rapporti internazionali con il Whitney Museum of American Art, senza dubbio uno dei più importanti musei al mondo”.“Yayoi Kusama – prosegue Stefano Raimondi - è un’artista amata in modo trasversale da più generazioni e pubblici, capace di meravigliare e stupire, e la stanza Fireflies on the Water è sicuramente la più adatta a sottolineare le tematiche che accompagnano Bergamo Brescia nell’anno della Capitale Italiana della Cultura, che affrontano i temi della resilienza, della cura, per aprirsi infine a una nuova dimensione piena di luce, energia e sconfinate possibilità”. “La presentazione di questa importante mostra - sottolinea Giorgio Gori, sindaco di Bergamo - in un contesto storico di prestigio e di grande valore per la comunità quale è Palazzo della Ragione, è un segnale importante per la nostra città e per tutto il mondo dell’arte contemporanea nell’anno di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura”.“Bergamo da tempo - prosegue Giorgio Gori -, grazie al grande lavoro di The Blank, di GAMeC e di altri soggetti di rilievo, lavora per promuovere e valorizzare l’arte contemporanea in città: quest’ultima è centrale nella programmazione del progetto di Capitale 2023, grazie all’esposizione di Kusama, alle installazioni di piazza della Libertà e del KilometroRosso, ma anche al cantiere per la nuova Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea della città, cantiere che avrà inizio proprio nel 2023 nell’attuale palazzetto dello sport della città”. “Il fatto che un’istituzione importante come il Whitney Museum of American Art di New York – ricorda Nadia Ghisalberti, assessore alla Cultura del Comune di Bergamo - conceda un prestito di questo rilievo, trasmette il valore del percorso che Bergamo ha intrapreso da diversi anni nell’ambito dell’arte contemporanea e di pari passo del cammino fatto da The Blank, una realtà del territorio che è diventata un interlocutore culturale credibile e conosciuto a livello internazionale e un attore capace di promuovere la città e la comunità”. L’allestimento, curato da Maria Marzia Minelli, si compone di un percorso introduttivo che approfondisce la ricerca di Yayoi Kusama attraverso poesie, filmati e documentazioni, creando uno spazio di condivisione fisica e digitale dell’esperienza vissuta e permettendo di entrare da più punti di vista nell’immaginario della celebre artista giapponese.Al centro del percorso Fireflies on the Water è un'installazione dalle dimensioni di una stanza pensata per essere vista in solitudine, una persona alla volta.L’opera consiste in un ambiente buio, rivestito di specchi su tutti i lati; al centro della sala, si trova una pozza d'acqua, che trasmette un senso di quiete, in cui sporge una piattaforma panoramica simile a un molo e 150 piccole luci appese al soffitto che, come suggerisce il titolo, sembrano lucciole.Questi elementi creano un effetto abbagliante di luce diretta e riflessa, emanata sia dagli specchi che dalla superficie dell'acqua. Lo spazio appare infinito, senza cima né fondo, inizio né fine. Come nelle prime installazioni di Yayoi Kusama, tra cui l’Infinity Mirror Room (1965), Fireflies on the Waterincarna un approccio quasi allucinatorio alla realtà. Sebbene legato alla mitologia personale dell'artista e al processo di lavoro terapeutico, quest’opera si riferisce anche a fonti varie come il mito di Narciso e il paesaggio giapponese nativo di Kusama.Il luogo che accoglie l’installazione è ovattato nelle luci e nei suoni e l’arrivo alle soglie della stanza ha la valenza di un atto meditativo, di una contemplazione capace di portare il pubblico in una dimensione altra e diversa, un invito ad abbandonare il senso di sé e ad arrendersi a una sorta di magia meditativa. Durante la mostra si svolgerà un ampio programma di laboratori progettati dai servizi educativi di The Blank per le scuole e le famigle. Yayoi Kusama. Infinito Presente è completamente accessibile ai non udenti anche attraverso visite guidate in LIS – Lingua dei Segni. L’arte e la vita per Kusama sono indissolubilmente legati: nata in Giappone, a Matsumoto, nel 1929. la sua famiglia appartiene all’alta società e aveva previsto per lei una precisa posizione nella società. Fin da bambina però Kusama inizia ad avere delle allucinazioni uditive e visive. Come la stessa artista ha raccontato è iniziato tutto in un campo di fiori di proprietà della famiglia: “C'era una luce accecante, ero accecata dai fiori, guardandomi intorno c'era quell'immagine persistente, mi sembrava di sprofondare come se quei fiori volessero annientarmi”.L’arte si rivela fin da subito un elemento necessario e terapeutico, con la quale gestisce le sue allucinazioni. La sua famiglia, tuttavia, non accetta la sua passione, tanto che sua madre distrugge i suoi disegni prima che lei riesca a terminarli. È proprio per questo motivo che una delle prime forme d’arte di Yayoi Kusama sono i pois, elementi veloci da disegnare.Dedicandosi con grande dedizione allo studio dell’arte, nonostante il parere contrario della famiglia, rimase colpita dai dipinti dell’artista Giorgia O’Keeffe, moglie di Alfred Stieglitz, e decise di scriverle. Fu proprio dopo aver ricevuto la sua risposta che Yayoi Kusama decise nel 1958 di trasferirsi negli Stati Uniti, trasferendosi prima a Seattle e poi a New York. Qui all’inizio trova notevoli difficoltà nell’ambiente artistica, sia perché fortemente maschile che per le sue origini giapponesi, ma ben presto comincia a farsi notare con le sue opere. Già negli anni Sessanta Kusama consolida la sua posizione nell’avanguardia newyorkese e viene considerata una rivoluzionaria per l’epoca.Dopo aver raggiunto la fama in tutto il mondo nel 1973 Yayoi Kusama torna in Giappone, dove nel 1977 si fa ricoverare spontaneamente in un istituto psichiatrico dove vive ancora oggi. Ma questo non le ha in alcun modo impedito di affittare un atelier davanti all’ospedale, in cui si reca ogni giorno per dipingere. In questi anni infatti ha continuato a scrivere e a lavorare, collaborando anche con celebri brand di moda, e dedicandosi completamente alla sua ricerca, dipingendo quadri e scrivendo romanzi e poesie.
Nel corso del Seicento Pieter Paul Rubens venne considerato dai suoi contemporanei, compreso l’erudito francese Claude Fabri de Peiresc e alcuni altri letterati pilastri della République de Lettres, uno dei più grandi conoscitori di antichità romane.Il passaggio romano e la contrastata commissione per la chiesa della Vallicella, oltre al suo ruolo nella rete di pittori e intellettuali stranieri vicini ai Lincei di Federico Cesi, hanno ricevuto una grande attenzione da parte degli studiosi.Nulla sembra sfuggire alla sua capacità di osservazione e al suo desiderio di imparare e di interpretare gli antichi maestri: i suoi disegni rendono le opere che studia vibranti, aggiungono movimento e sentimento ai gesti e alle espressioni dei personaggi. Rubens mette in atto nelle storie lo stesso processo di vivificazione del soggetto che utilizza nel ritratto: i membri della famiglia Gonzaga escono ravvivati dal suo pennello mentre i loro sguardi si dirigono verso lo spettatore, ma la stessa cosa succede con i marmi e i rilievi e con gli esempi celebri della pittura rinascimentale. A Roma, con le vestigia del mondo antico, accade la stessa cosa: Rubens disegna, a sanguigna, quindi con un carboncino rosso che gli restituisce il colore, la famosa statua dello Spinario. Il foglio, che riprende la posa da due punti di vista diversi, sembra davvero eseguito da un modello vivente, invece che da una statua, tanto da far immaginare ad alcuni studiosi che il pittore abbia utilizzato un ragazzo atteggiato nello stesso modo della statua.Questo processo di animazione dell’antico, per quanto eseguito nel primo decennio del secolo, sembra anticipare le mosse degli artisti che, nei decenni successivi al suo passaggio romano, verranno definiti barocchi.Come le intuizioni formali e iconografiche di Rubens filtrino nel ricco e variegato mondo romano degli anni Venti è un problema che non è stato ancora affrontato in modo sistematico dagli studi. La presenza in città di pittori e scultori che avevano avuto modo di formarsi con lui ad Anversa (come Van Dyck e Georg Petel) o che già erano entrati in contatto con le sue opere nel corso della loro formazione (come Duquesnoy e Sandrart) garantì di certo l’accessibilità dei suoi modelli a una generazione di artisti italiani, i quali, non meno del fiammingo, si erano ormai abituati a confrontarsi con l’Antico alla luce dei contemporanei esempi pittorici e sulla base di un rinnovato studio della Natura. Tra tutti, Bernini: i suoi gruppi borghesiani, realizzati negli anni Venti, rileggono celebri statue antiche (l’Apollo del Belvedere) per donare loro movimento e traducono in carne il marmo, come avviene nel Ratto di Proserpina.In mostra si potrà dunque misurare quanto questi capolavori siano in debito con il naturalismo rubensiano, così come lo furono di certo altre sculture giovanili dell’artista, quali la Carità vaticana nella Tomba di Urbano VIII, già giudicata dai viaggiatori europei del tardo Settecento ‘una balia fiamminga’. In questo contesto figurativo, la tempestiva circolazione di stampe, tratte dalle prove grafiche rubensiane, accelerò per tutti gli anni Trenta il dialogo sollecitando operazioni editoriali come la Galleria Giustiniana, dove le statue antiche prendono ormai definitivamente vita secondo un effetto già definito ‘Pigmalione’ dalla critica.La mostra progettata per la Galleria Borghese, recuperando alcune di queste linee di ricerca, vuole sottolineare il contributo straordinario dato da Rubens a una nuova concezione dell’antico, dei concetti di naturale e di imitazione, alle soglie del Barocco, mettendo a fuoco in cosa consista la novità dirompente del suo stile nel primo decennio a Roma e come lo studio dei modelli potesse essere inteso come un’ulteriore possibilità di slancio verso un nuovo mondo delle immagini.Per fare questo la mostra terrà conto non solo delle opere italiane che documentano lo studio appassionato e libero dagli esempi antichi, ma anche della capacità di rileggere gli esempi rinascimentali e di confrontarsi con i contemporanei, approfondendo aspetti e generi nuovi.
Un saggio visivo sull’opera di Mario De Biasi (1923-2013), fotografo versatile, definito da Enzo Biagi come "l'uomo che poteva fotografare tutto". E in questo tutto ha prediletto il capoluogo lombardo, dove si trasferì a 15 anni. Così a cento anni dalla sua nascita, il Museo Diocesano di Milano gli dedica - dal 14 novembre 2023 al 21 gennaio 2024 - un’Edizione Straordinaria che raccoglie una serie di scatti iconici dedicati alla sua città d'adozione. La mostra "MARIO DE BIASI E MILANO. Edizione Straordinaria”, organizzata e prodotta da Mondadori Portfolio in collaborazione con il Museo Diocesano di Milano e curata da Maria Vittoria Baravelli con Silvia De Biasi, presenta 70 fotografie vintage, provini e scatti inediti di uno degli autori più apprezzati del secondo Novecento italiano, che per trent’anni documentò la storia del nostro Paese attraverso le pagine del periodico di Arnoldo Mondadori Editore, “Epoca”.Il percorso espositivo – costituito da opere provenienti dall’Archivio Mondadori e dall’Archivio De Biasi - consentirà al pubblico di conoscere il linguaggio personale che il fotografo adattò a contesti molto diversi tra loro. E, in particolare, a Milano. "Il Duomo, la città, la gente e la moda, senza ordine o punteggiatura”, racconta Maria Vittoria Baravelli, “Milano è quinta e campo base, luogo di una danza infinita da cui De Biasi parte per tornare sempre, dedito a immortalare dalla Galleria ai Navigli, alla periferia, una città che negli anni Cinquanta e Sessanta si fa specchio di quell'Italia che diventa famosa in tutto il mondo". Uno sguardo lucido ed evocativo al tempo stesso, quello di De Biasi, capace di raccontare con immediatezza e originalità un momento controverso della storia d’Italia. Nelle trame ordinate dei suoi scatti si leggono infatti i cambiamenti storici e culturali del Paese, che negli anni ’50 e ’60 andava assestandosi su una rinnovata identità culturale. Rinascita che in Milano trovava sintesi e negli scatti di De Biasi eloquente espressione.L’esposizione si snoda attraversando idealmente la città, dal suo centro nevralgico fino alle periferie. Ci sono i turisti che s'affacciano dal tetto del Duomo e che affollano i bar della Galleria Vittorio Emanuele II, ma anche i pendolari alla stazione ferroviaria di Porta Romana. E poi San Babila, l’Arco della Pace, scorci di una Milano oggi impossibile dove le chiatte risalgono i Navigli e tutti si meravigliano del mondo che cambia.L’approccio autoriale di De Biasi si arricchisce dell’acume giornalistico nel 1953, quando viene assunto come fotoreporter da Epoca. Rivista iconica del tempo, ideata sul modello dei periodici statunitensi illustrati, di cui facevano parte, tra gli altri, Aldo Palazzeschi e Cesare Zavattini.In una pubblicazione che si distingueva per la raffinata impostazione grafica, secondo il direttore Enzo Biagi, De Biasi era l’unico in grado di garantire sempre al giornale "la foto giusta", anche se per guadagnarla doveva rischiare la vita tra pallottole e schegge di granata, nei tanti servizi bellici della sua carriera. Oppure confrontarsi con i grandi personaggi dell'epoca tra intellettuali, attrici e artisti.Totalmente inediti i provini di Moira Orfei acrobata e i frame che precedono e seguono il celebre scatto Gli Italiani si voltano, realizzato nel 1954 per il settimanale di fotoromanzi Bolero Film, che Germano Celant scelse per aprire la mostra "Metamorfosi dell'Italia", organizzata nel 1994 al Guggenheim di New York. L’immagine immortala un gruppo di uomini che osservano Moira Orfei, inquadrata di spalle e vestita di bianco mentre passeggia per il centro di Milano.La mostra si chiude con una sezione di fotografie che De Biasi realizzò nei suoi viaggi extra europei: dall’India alla Rivoluzione di Budapest, dal Giappone alla Siberia, fino ad arrivare all’allunaggio con i celebri scatti a Neil Amstrong.Mario De Biasi (Sois, Belluno 1923 – Milano 2013) si trasferisce a Milano a 15 anni dove diventa radiotecnico. Durante l’occupazione tedesca viene inviato a lavorare a Norimberga, dove trova per caso un manuale di fotografia e impara a fotografare da autodidatta. Tornato in Italia nel 1946 lavora presso la Magneti Marelli di Sesto San Giovanni e nel 1953 è assunto come fotoreporter dal periodico di Arnoldo Mondadori “Epoca”, con cui lavora fino al 1983. Durante questo trentennio realizza più di centotrenta copertine e indimenticabili reportage dall’Italia e da tutto il mondo: in Sud America, a Hong Kong, a Singapore, sull’Etna, in Africa. Rimangono celebri alcuni servizi come quello in Ungheria durante la rivolta del 1956 e quello della spedizione con Walter Bonatti in Siberia nel 1964. È molto apprezzato anche per i suoi ritratti “in maniche di camicia” ai protagonisti del tempo quali, solo per citarne alcuni, Aristotele Onassis, Ray Sugar Robinson, Andy Warhol, Marlene Dietrich, Brigitte Bardot.Pubblica oltre cento libri e riceve numerosi riconoscimenti internazionali.Nel 1982 riceve il premio Saint Vincent di giornalismo e nel 2003 è insignito dalla FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) del titolo di “Maestro della fotografia italiana”. Il Comune di Milano riconosce la sua attività conferendogli l’Ambrogino d’oro nel 2006 e, dopo la sua scomparsa nel 2013, iscrivendone il nome nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano in una lapide dedicata ai “cittadini illustri, benemeriti, distinti nella storia patria”.
La mostra “Impressionisti a Napoli“, del tutto inedita, è incentrata sugli artisti che hanno partecipato alle otto mostre ufficiali, a partire da quella storica del 1874, presso lo studio del fotografo Nadar. Arricchita da un comitato scientifico internazionale, che comprende Vittorio Sgarbi – Critico d’arte, Gilles Chazal – ex Direttore del Petit Palais di Parigi, Maïthé Vallès-Bled – già Direttrice del Musée des Beaux-Arts di Chartres e del Musée Paul Valéry, Alain Tapié – storico dell’Arte, Direttore Peintres de Normandie, e Vincenzo Sanfo – curatore di mostre internazionali, la mostra presenta ben oltre 150 opere tra dipinti, sculture, acquerelli, disegni, ceramiche, incisioni, opere grafiche, oltre a fotografie, documenti, libri e materiali di corredo.Il percorso, arricchito oltreché da splendide opere d’arte, anche da aspetti multimediali, racconterà la nascita, lo sviluppo e l’eredità dell’Impressionismo, realizzando una full-immersion nella Parigi della Bella Époque, che ha visto non solo la nascita dell’Impressionismo, ma anche l’avvento della fotografia, del cinema, dell’elettricità, dei primi metrò, la costruzione della mitica Tour Eiffel e di grandi conquiste, che hanno cambiato le prospettive del nascente novecento, all’alba della grande tragedia della prima guerra mondiale. Partendo dalle esperienze dell’Ècole de Barbizon con le presenze di Corot, Daubigny, Troyon e altri “barbisonnier“ e attraverso la lezione di Courbet, la mostra esplora le ricerche tra colori, segni e disegni dei protagonisti dell’avventura impressionista e la loro importante eredità, con opere da Toulouse-Lautrec a Renoir, da Monet a Bonnard, Cezanne, Degas e Paul Gauguin e Pissarro.Aperta dal 11 Novembre sino al 28 Aprile 2024 a Napoli presso la Chiesa di Pietrasanta, la mostra rappresenta un’occasione unica per scoprire i maestri dell’impressionismo.
La prossima edizione di AMART che si terrà a Milano dall’8 al 12 novembre accoglierà 63 gallerie provenienti da tutta Italia. Le annuncia il Presidente dell’Associazione Antiquari Milanesi Michele Subert che, insieme a Promo.Ter Unione, organizza la manifestazione: “al Museo della Permanente esporrà l’eccellenza del settore dell’Antiquariato: galleristi esperti per ogni specialità, dai dipinti, sculture, mobili, preziosi, argenti, tappeti e molti altri oggetti di altissimo pregio collezionistico e artistico. Un’offerta che, al di là del valore commerciale, rende merito alla grandezza dell’arte e alla professionalità degli antiquari stessi, divulgatori di una profonda tradizione culturale che oggi assume un’inedita connotazione di contemporaneità” spiega Subert.All’expertise degli antiquari si aggiunge la garanzia di un Comito Scientifico che con questi collabora nell’assicurare un’offerta di eccellenza. Gallerie edizione 2023: 800/900 Art Studio, Livorno - LuccaAjassa, TorinoAllemandi Fine Art, MilanoAltomani & Sons, MilanoAntichità all'Oratorio, BolognaAntichità di Nobili Alessio & C., MilanoAntichità G.N. di Luciano Guagenti, MilanoAntichità Giglio, MilanoAntichità La Pieve, Sabbio Chiese (Bs)Antichità S. Giulia di Borelli & C., BresciaArcuti Fine Art, Roma - TorinoArs Antiqua, MilanoArt Studio Pedrazzini, MilanoAttilio Cecchetto Antiquario, San Vito di Altivole (Tv)Brun Fine Art, Milano - Firenze - LondraCaiati Old Masters, MilanoCallea Antichità, ComoCapozzi Antichità, GenovaCopetti Antiquari, UdineDalton Somare', MilanoDame e Cavalieri, MilanoDenise e Beppe Berna, BolognaDys 44 Lampronti Gallery, LondonE.L.A. Antichità, BergamoEnrico Gallerie D’Arte, MilanoFineArt by Di Mano in Mano, MilanoGalleria d'Arte Cesaro, PadovaGalleria d'arte Mainetti, MilanoGalleria d'Arte San Barnaba, MilanoGalleria D'orlane, Casalmaggiore (Cr)Galleria Francesco Cannucciari, OrvietoGalleria Giamblanco, TorinoGems&Antiques, BergamoInopera Italian Arts, MilanoLa Pendulerie, MilanoLaocoon Gallery - W. Apolloni, Roma - LondraLes Galeries du Luxembourg, BergamoLucas, MilanoMattArte, Verolengo (To)Mayfair Rare Books&Manuscripts, LondonMearini Fine Art, PerugiaMF Toninelli, Monte CarloMirco Cattai Fine Art, MilanoNuova Arcadia, PadovaOreficeria Piccolo, MilanoOro Incenso e Mirra, MilanoOrsini Arte e Libri, MilanoPaolo Antonacci, RomaPhidias Antiques, Casalecchio di Reno (Bo) Piva & C., MilanoR.V. Art Gallery Studio, Guastalla (Re)Raffaello Pernici - Best Ceramics, Rosignano Marittimo (Li)Renzo Freschi Asian Art, MilanoRomigioli, Legnano (Mi)Salamon Fine Art, MilanoSecol-Art di Masoero, TorinoSocietà di Belle Arti, Viareggio - LuccaStudiolo Fine Art, MilanoSubert, MilanoTomasi Tommaso "Le Due Torri", Noceto (Pr)Top Time Musa, MilanoTornabuoni Arte-Arte Antica, FirenzeUmbria Artis, SpoletoVerdini Antiques, Roma
L’esposizione analizza, all’interno di un contesto europeo, le vicende del movimento artistico che ha rivoluzionato la storia della pittura italiana dell’Ottocento, focalizzandosi sulle novità che i padri dell’arte en plein air hanno sviluppato anticipando, con sorprendente modernità, gli esiti proposti successivamente dagli Impressionisti francesi.La rassegna propone 80 opere di autori quali Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Giuseppe Abbati, Silvestro Lega, Vincenzo Cabianca, Raffaello Sernesi, Odoardo Borrani, in dialogo con quelle di alcuni dei rappresentanti della Scuola di Barbizon, tutti protagonisti dell’evoluzione di questo movimento, fondamentale per la nascita della pittura moderna italiana. Il percorso espositivo partirà proprio dalla relazione che i Macchiaioli avranno con la scena francese per poi proseguire approfondendo le novità tecniche relative al tema del paesaggio, della pittura di genere e di carattere storico, portando il pubblico a immergersi in un momento storico e culturale molto vivace, da cui emergono i fermenti di rivolta di questi nuovi pittori, insieme alle loro forti personalità artistiche e umane.
Una delle più complesse e affascinanti opere di Fra Giovanni da Fiesole, meglio noto come il Beato Angelico (Vicchio di Mugello 1395 circa – Roma 1455) sarà il Capolavoro per Milano 2023, iniziativa giunta alla sua 15^ edizione.La mostra, realizzata il sostegno di Fondazione Bracco in qualità di main sponsor, presenta lo straordinario scomparto dell’Armadio degli Argenti dedicato alle Storie dell’Infanzia di Cristo, dall’Annunciazione alla Disputa fra i Dottori, introdotte dalla Visione di Ezechiele, proveniente dal Museo di San Marco a Firenze, che custodisce la più grande collezione di opere di Beato Angelico, uno dei maggiori pittori del Rinascimento italiano.Si tratta di una delle ante dell’Armadio degli Argenti, così chiamato in quanto i trentasei scomparti che lo componevano erano in origine gli sportelli esterni dell’armadio ligneo che custodiva le offerte votive destinate all’immagine miracolosa della Vergine nella chiesa fiorentina della SS. Annunziata, ancor oggi tra le più venerate a Firenze.Commissionata nel 1448 da Piero Cosimo de’ Medici, la tavola (123×123 cm), dipinta tra il 1450 e il 1452, periodo che vede il Beato Angelico al culmine della sua carriera, presenta una ricchissima sequenza narrativa, una vera e propria Bibbia illustrata, in cui tutti gli episodi sono inquadrati, in alto, da un cartiglio con una profezia del Vecchio Testamento e, in basso, dalla citazione del Vangelo corrispondente.In questo ciclo pittorico in miniatura, dalle atmosfere intrise di luce e dai colori smaglianti caratteristici dell’Angelico, spiccano la delicata Annunciazione, uno dei temi prediletti del pittore in cui il dialogo fra l’Angelo dalle ali variopinte e la Vergine in umile preghiera avviene in un loggiato umanistico, l’intima e intensa Natività, con uno straordinario effetto di luce artificiale, e la Circoncisione, ambientata in un tempio che rivela anche l’aggiornamento del pittore sulle novità architettoniche del tempo.Per tutta la durata dell’esposizione, il Museo Diocesano organizzerà una serie di proposte didattiche, rivolte agli adulti e agli studenti delle scuole, oltre ad eventi collaterali, come laboratori, conferenze, incontri, concerti e molto altro ancora.
L’arte visionaria di Francisco Goya si svela a Milano in una grande mostra. Dalla Real Academia de Bellas Artes de San Fernando di Madrid approdano a Palazzo Reale circa 70 opere del grande pittore spagnolo: dipinti, disegni e incisioni, compresi i suoi più celebri capolavori, da ammirare in un allestimento che ne ripercorre l’intera carriera. In primo piano, l’umanità e la profondità dell’animo di Goya, la sorprendente capacità di aprirsi alla modernità già nel XVIII secolo pur rimanendo integrato nel suo tempo. Primo pittore di corte, direttore della Real Accademia, uomo colto e di sensibilità non comune, nella sua arte Goya restituisce una stagione storica satura di eventi, che va dalla Rivoluzione francese alle guerre napoleoniche, fino alla Restaurazione: un’epoca di dirompenti trasformazioni che si riflette nei soggetti delle opere, ma soprattutto in una pittura radicalmente innovativa, che rompe con le regole e con i modelli del passato.
Il 27 ottobre 2023 apre nelle Sale Chiablese la mostra AFRICA. Le collezioni dimenticate, a cura di Elena De Filippis, Enrica Pagella e Cecilia Pennacini, realizzata dai Musei Reali con la Direzione regionale Musei del Piemonte e il Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino (MAET), la collaborazione di CoopCulture e il supporto della Fondazione Santagata per l’Economia della Cultura per il programma di attività collaterali.Tra il 2022 e il 2023 i Musei Reali e la Direzione regionale Musei hanno condotto interventi di recupero e restauro delle collezioni africane presenti nei depositi dell’Armeria Reale e nelle raccolte dei Castelli di Aglié e di Racconigi, e hanno sostenuto progetti di ricerca sugli album fotografici conservati alla Biblioteca Reale di Torino e nelle due residenze sabaude: centinaia di opere, sottratte all’oblio, sono state catalogate e restaurate. Nel corso del progetto è emersa la necessità di confrontarsi con esperti di storia africana e con le comunità di origine per costruire un dialogo, un ponte interculturale e una chiave di accesso alla realtà contemporanea dei nuovi cittadini, provenienti in particolare dal corno d'Africa. Da questa riflessione è scaturita la collaborazione con il MAET e con l'artista concettuale Bekele Mekonnen Nigussu, docente all’Università di Addis Abeba, il quale, grazie alla mediazione di Lucrezia Cippitelli, è stato ospite ai Musei Reali per una residenza di ricerca, finalizzata alla creazione di un’opera site-specific per la mostra. Africa. Le collezioni dimenticate presenta, dal 27 ottobre 2023 al 25 febbraio 2024, oltre 150 oggettitra statue, utensili, amuleti, gioielli, armi, scudi, tamburi e fotografie provenienti dalle collezioni sabaude e dal MAET di Torino, con prestiti da Palazzo Madama - Museo Civico d’Arte Antica di Torino e dal Museo delle Civiltà di Roma. Il percorso è suddiviso in cinque sezioni, organizzate intorno alle personalità torinesi presenti in Africa nella seconda metà dell’Ottocento, le cui raccolte sono confluite nelle collezioni pubbliche.La prima sezione, Italiani in Africa: esploratori, avventurieri e consoli, è dedicata alle raccolte, tra il 1857 e il 1890, di Giacomo Antonio Brun Rollet, esploratore delle sorgenti del Nilo in Sudan, di Vincenzo Filonardi, armatore e console a Zanzibar nel 1882, e di Giuseppe Corona, attivo in Congo.Le vie dello sfruttamento: ingegneri in Congo focalizza l’attenzione sul contributo di ingegneri e tecnici torinesi come Pietro Antonio Gariazzo, Carlo Sesti, Tiziano Veggia e Stefano Ravotti impegnati nella costruzione di infrastrutture coloniali in Congo, con una selezione di armi, strumenti musicali, tessuti e oggetti artistici e d’uso quotidiano.La terza sezione, Conquistare la montagna: il Rwenzori, è dedicata alla spedizione del Duca degli Abruzzi e di Vittorio Sella sul massiccio al confine tra l’Uganda e l’attuale Repubblica Democratica del Congo, documentata da una straordinaria serie di immagini fotografiche. La sezione Dalla spartizione dell’Africa all’aggressione coloniale raccoglie opere provenienti da Eritrea, Cirenaica e Tripolitania, Somalia, Etiopia: figurano soprattutto scambi e doni diplomatici, oltre a manufatti accumulati o depredati nel corso delle guerre coloniali italiane.Il percorso termina con l’installazione dell’artista etiope Bekele Mekonnen, una reinterpretazione in chiave contemporanea delle relazioni documentate dalle opere esposte. La mostra è resa possibile grazie a un finanziamento della legge 77/2006 che sostiene progetti dei siti italiani posti sotto la tutela dell'UNESCO, come il sito delle Residenze sabaude, e a un contributo dei Musei Reali di Torino. Un programma di disseminazione accompagna la narrazione scientifica ed etica del percorso attraverso una serie di eventi, che intrecciano approfondimenti istituzionali e cultura visiva, performance musicali e artistiche. Il Public Programme, sviluppato dalla Direzione regionale Musei con i Musei Reali, l’Università di Torino e il supporto della Fondazione Santagata per l’Economia della Cultura, è teso a coinvolgere le istituzioni del territorio e i nuovi spazi culturali che operano con intenti sociali: attività per ragionare sulla storia delle relazioni tra l’Italia e l’Africa a partire dal patrimonio comune, aprire il dibattito su questioni che riguardano la decostruzione delle narrazioni coloniali, nuove cittadinanze, l’emergenza di storie e produzioni culturali ibride. Il programma, che includerà laboratori presso le scuole di Agliè e Racconigi, sarà ospitato al Circolo dei Lettori, ai Musei Reali, a Palazzo Madama, al Museo d’Arte Orientale, al Castello di Racconigi, al Castello di Agliè, a Palazzo Carignano, nella Casa di quartiere San Salvario, all’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza e coinvolgerà anche l’Associazione Donne Africa Subsahariana e II Generazione e il Centro Interculturale della Città di Torino.
Dal 27 ottobre 2023 all’11 febbraio 2024, Genus Bononiae, insieme a Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, presenta a Palazzo Fava. Palazzo delle Esposizioni, Concetto Pozzati XXL, la prima mostra antologica dell’artista realizzata in una sede museale dopo la sua scomparsa, a cura di Maura Pozzati, critica d’arte e docente, curatrice e direttrice dell’Archivio Concetto Pozzati. Circa cinquanta opere provenienti dall'Archivio Concetto Pozzati – alcune inedite o non più esposte da tempo – tra dipinti di grande formato, lavori tridimensionali e su carta, come la monumentale installazione Dopo il tutto (1980) costituita da 301 disegni, compongono una rassegna organica e affascinante, che contribuisce a gettare una luce sulla produzione più significativa e meno nota dell’autore. Pozzati aveva lungamente sognato di realizzare proprio a Bologna una mostra di opere di grandi dimensioni. Genus Bononiae e l’Archivio Concetto Pozzati realizzano il desiderio dell’artista, rendendo omaggio, con questa mostra, alla sua vasta produzione pittorica, grafica, intellettuale e umana. Concetto Pozzati XXL delinea un percorso non cronologico ma suddiviso per temi, suggerendo un dialogo intimo tra i quadri del pittore, gli affreschi e gli elementi architettonici e decorativi di Palazzo Fava. Le opere scelte per questa esposizione, allestite nelle 5 sale del Piano Nobile e nelle stanze del Piano Galleria, attraversano e ben illustrano le fasi principali della sua carriera, a partire dal clima informale della fine degli anni ’50, passando per le opere iconiche della metà degli anni ’60, riconducibili al periodo “Pop”, fino alla produzione degli anni ’70 – la meno conosciuta – che risentì del clima concettuale e sperimentatore del tempo, per giungere alla pittura densa e carnosa degli anni ’80, ’90 e 2000, che registra l’interesse dell’artista per gli oggetti del quotidiano e d’affezione, fino all’ultima folgorante serie, Vulvare, del 2016. La rassegna restituirà per la prima volta un’immagine completa di Concetto Pozzati: non solo un artista visivo, ma un intellettuale a tutto tondo. Fu infatti teorico e critico, scrisse sull’arte e curò mostre di arte contemporanea in Italia e all’estero, diventando direttore artistico della Casa del Mantegna nel 1998; fu anche un collezionista appassionato, ammirando il lavoro di altri artisti e incoraggiando generazioni di giovani ed emergenti; si impegnò attivamente in politica, coprendo il ruolo di Assessore alla Cultura del Comune di Bologna dal 1993 al 1996; insegnò per molti anni Pittura presso l’Accademia di Bologna dopo le docenze a Firenze e Venezia e la direzione dell’Accademia di Urbino. Del suo lavoro hanno scritto i maggiori critici d’arte dal secondo Novecento fino a oggi, come Giulio Carlo Argan, Guido Ballo, Giuliano Briganti, Filiberto Menna, Lea Vergine, Alberto Boatto, Giorgio Cortenova, Enrico Crispolti, Tommaso Trini, Renato Barilli, Flavio Caroli… e tanti altri. La mostra sarà accompagnata da un catalogo bilingue (italiano/inglese) edito da Maretti Editore con le immagini di tutte le opere esposte, fotografie d’archivio e documenti inediti. Il volume raccoglierà anche gli scritti dell’artista inerenti ai cicli pittorici esposti e un’antologia di testi critici selezionati dalla curatrice Maura Pozzati. Concetto Pozzati (Vo’ Vecchio, Padova, 1935 - Bologna, 2017), figlio di Mario e nipote di Sepo (Severo Pozzati) ha studiato all’Istituto Statale d’Arte di Bologna e in seguito Architettura e Pubblicità. Dal 1956 al 1967 insegna Grafica pubblicitaria. Negli anni successivi, dopo l’insegnamento a Firenze e Venezia e la direzione dell’Accademia di Urbino, è ordinario della cattedra di Pittura presso l’Accademia di Bologna. Assessore alla Cultura del Comune di Bologna dal 1993 al 1996, nel 1998 è direttore artistico della Casa del Mantegna di Mantova. Affianca al suo percorso artistico numerosi incarichi per l’allestimento di rassegne d’arte contemporanea in musei italiani e stranieri.Definito “il corsaro della pittura”, ha tracciato un ponte dialogante tra le diverse correnti culturali del dopoguerra, dal surrealismo all’informale, alla Pop Art. Nel corso di tutta la sua lunga produzione, le sue opere mantengono uno stretto rapporto con il segno, traccia distintiva del suo stile. Partecipa alle principali rassegne internazionali tra cui le Quadriennali di Roma (1959, 1965, 1973, 1974, 1986), le Biennali di Venezia (1964, 1972, 1982, 2007, 2009, 2013), di San Paolo del Brasile (1963), di Tokio (1963) e di Parigi (1969), Documenta di Kassel (1964). Presenta mostre personali e antologiche nei più importanti musei e gallerie in Italia e all’estero, tra cui: Palazzo della Pilotta, Parma (1968, 2002); Palazzo Grassi, Venezia (1974); Palazzo delle Esposizioni, Roma e Padiglione d’Arte Contemporanea, Ferrara (1976); Museo di San Paolo del Brasile (1987); International Centre of Graphic Arts e al Cankariev Dom, Lubiana (1993); Ventè Museum di Tokio (1993); “Icastica”, A.A.M. Architettura Arte Moderna, Roma (1998); “De-posizioni”, Museo Magazzino del Sale, Cervia (2006) e Museo Morandi, Bologna (2007); “Ciao Roberta”, Chiesa di S. Stae, Venezia (2008); “A casa mia”, Sala dei Battuti, Conegliano (2008); “Ciao Roberta”, Museo Civico Archeologico, Bologna (2008); “Tempo Sospeso”, MAR - Museo d’Arte della città di Ravenna (2010); “Cornice Cieca”, CAMeC - Centro Arte Moderna e Contemporanea, La Spezia (2012); “Mario & Concetto Pozzati” al Museo MUVO - Villa Contarini Venier di Vo’ Vecchio (PD) (2012); “Cornice Cieca”, Museo San Domenico di Imola (2013).A conferma del suo percorso artistico riceve numerosi riconoscimenti ufficiali tra cui il Sigillo d’Ateneo dell’Università di Bologna (2005). È stato membro dell’Accademia Nazionale di San Luca dal 1995 e Consigliere Accademico dal 2005. Archivio Concetto PozzatiNato a gennaio 2020 a Bologna, per volontà dei figli Maura e Jacopo Pozzati, l’Archivio Concetto Pozzati è un’associazione culturale senza scopo di lucro che raccoglie tutta la documentazione sull’attività di Concetto Pozzati per tutelarne l’opera, promuoverne la ricerca e la conoscenza, diffondere gli scritti e il pensiero critico e realizzare mostre collettive e personali in Italia e all’estero, sia presso istituzioni pubbliche sia private. Presso l’Archivio è in corso la digitalizzazione delle opere dell’artista, dell’archivio storico e il monitoraggio della presenza delle opere nelle collezioni nazionali e internazionali. L’Archivio vuole essere un punto di riferimento per esperti e studiosi, e promuovere e valorizzare non solo l’attività artistica ma anche il prezioso contributo culturale e intellettuale di Concetto Pozzati.
“Paraventi: Folding Screens from the 17th to 21st Centuries” è l’ampia esposizione a cura di Nicholas Cullinan presentata da Fondazione Prada a Milano dal 26 ottobre 2023 al 26 febbraio 2024. Il 2 novembre 2023 inaugureranno due mostre complementari, organizzate da Prada con il supporto di Fondazione Prada presso Prada Rong Zhai a Shanghai e Prada Aoyama Tokyo, che approfondiranno l’eredità storica e le interpretazioni contemporanee dei paraventi nei contesti orientali.La mostra di Milano indaga la storia e interpreta i significati di questi oggetti, ripercorrendo le traiettorie di reciproche contaminazioni tra Oriente e Occidente, i processi di ibridazione fra diverse forme d’arte e funzioni, le collaborazioni tra designer e artisti e, infine, la creazione di opere inedite. I paraventi rappresentano il concetto di liminalità e di soglia fra due condizioni, in senso letterale e metaforico, in quanto attraversano le barriere tra discipline, culture e mondi diversi. Come spiega Nicholas Cullinan, “Pittura o scultura? Arte o complemento d’arredo? Elemento utilitaristico oppure ornamentale? Decorativo, funzionale, architettonico o teatrale? Questa mostra esamina con un approccio innovativo gli interrogativi e i paradossi che circondano la storia dei paraventi, una storia di migrazione culturale (da Oriente a Occidente), di ibridazione (tra forme d’arte e funzioni diverse) e di ciò che viene celato e rivelato. La nostra ricerca svelerà come questa storia e il suo manifestarsi nel presente coincidano con la storia di oggetti liminali e della liminalità stessa, in un processo di superamento delle rigide distinzioni e gerarchie tra le diverse discipline dell’arte e dell’architettura, della decorazione d’interni e del design”. Il progetto espositivo ideato dallo studio di architettura SANAA, fondato da Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa, raccoglierà negli spazi del Podium oltre settanta paraventi. Saranno inclusi sia opere di grande valore storico sia lavori più recenti provenienti da musei internazionali e collezioni private, oltre a una selezione di nuove creazioni appositamente commissionate per questo progetto a più di quindici artisti internazionali. Al piano terra del Podium, pareti curvilinee e trasparenti di Plexiglas, alternate a tende dalla linea sinuosa, evocheranno le forme di questi oggetti creando una serie di spazi caratterizzati da diverse condizioni luminose. All’interno di questi ambienti i visitatori potranno incontrare i vari gruppi tematici e confrontarsi con un fluido percorso espositivo grazie alla trasparenza delle strutture divisorie. Al piano superiore l’allestimento rappresenterà l’intera storia dei paraventi, presentati in ordine cronologico e disposti su piedistalli sagomati che ne enfatizzeranno le forme, in omaggio agli innovativi allestimenti museali del MASP di San Paolo, realizzato da Lina Bo Bardi, e al lavoro di SANAA per il museo Louvre-Lens.Artisti in mostraAlvar Aalto, Carla Accardi, Kai Althoff, Atelier E.B (Beca Lipscombe & Lucy McKenzie), Kamrooz Aram, Francis Bacon, Giacomo Balla, Hernan Bas, Carol Bove, Lisa Brice, Marc-Camille Chaimowicz, Tony Cokes, William N. Copley, Pedro de Villegas, Alessandro Di Pietro, Jim Dine, Peter Doig, Marlene Dumas, Charles and Ray Eames, Elmgreen & Dragset, Cao Fei, Isa Genzken, Duncan Grant, Eileen Gray, Wade Guyton, Kenneth Halliwell, Anthea Hamilton, Mona Hatoum, David Hockney, Josef Hoffmann, Pierre Jeanneret, Joan Jonas, William Kentridge, Yves Klein, Le Corbusier, Sol LeWitt, Shuang Li, Goshka Macuga, René Magritte, Kerry James Marshall, Takesada Matsutani, Małgorzata Mirga-Tas, William Morris and Elizabeth Burden, Chris Ofili, Laura Owens, Lê Phổ, Pablo Picasso, Jean Prouvé, Man Ray, Ed Ruscha, Betye Saar, Watanabe Shikō, Tiffany Sia, Francesco Simeti, Lorna Simpson, John Stezaker, Keiichi Tanaami, Wu Tsang, Luc Tuymans, Cy Twombly, Francesco Vezzoli, Carrie Mae Weems, Franz West, T. J. Wilcox, Chen Zhifo.
Dal 21 ottobre 2023 al 21 gennaio 2024 i Musei Civici di Bassano del Grappa, in collaborazione con CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino, presentano al pubblico l’opera di Dorothea Lange (1895 –1965), celeberrima fotografa statunitense, co-fondatrice nel 1952 di Aperture, la più autorevole rivista fotografica al mondo e prima donna fotografa cui il MoMa dedicò una retrospettiva nel 1965, proprio pochi mesi prima della sua scomparsa.Photographer of the people, la fotografa della gente. Così Dorothea Lange si presentava nel suo biglietto da visita. Perché lei, borghese del New Jersey, aveva scelto di non fotografare i divi o i grandi protagonisti del suo tempo, per concentrarsi invece sugli “ultimi” di un’America che stava affondando nella Grande Depressione. Lo sguardo con cui Lange coglie questa umanità dimenticata non è pietistico. Le sue immagini dimostrano infatti comprensione, sensibilità, partecipazione e immensa umanità, uniti ad una capacità di lettura del contesto sociale rafforzata dal rapporto sentimentale e professionale con il marito, l’economista Paul Taylor. Nativa del New Jersey da una famiglia borghese di origini tedesche, a nove anni viene colpita dalla poliomielite che la rende claudicante; poi il dissidio con il padre, che abbandona la famiglia e che lei coraggiosamente ripudia assumendo il cognome materno.Gli esordi la vedono a New York con Clarence White e Arnold Genthe. Nel 1918 parte per una spedizione fotografica in giro per il mondo, viaggio che si conclude prematuramente per mancanza di denaro a San Francisco, dove apre un proprio studio. Dopo avere operato per una decina di anni nel campo della ritrattistica professionale, abbracciando uno stile pittorialista, aderisce nei primi anni Trenta all’estetica della straight photography (fotografia diretta) per farsi madrina di una poetica della realtà e testimone della condizione dei più deboli ed emarginati: dai disoccupati e i senzatetto della California fino ai braccianti costretti a migrare di paese in paese alla ricerca di campi ancora coltivabili.I drammatici accadimenti che segnano gli anni della Grande Depressione la portano a contatto con il grande progetto sociale e fotografico della “Farm Security Administration”, di cui diviene la rappresentante di punta. Nella seconda metà degli anni Trenta fotografa dunque la tragedia dell’America rurale colpita da una durissima siccità, realizzando alcune delle sue immagini insieme più drammatiche e più celebri: in questo contesto nasce infatti Migrant Mother, un’icona con cui Lange scrive una pagina indelebile della storia della fotografia imponendosi quale pioniera della fotografia sociale americana.Fulcro – e novità – della mostra curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi e che presenterà oltre centocinquanta scatti, sarà uno speciale affondo sulla nascita di questo capolavoro, secondo un percorso espositivo di grande fascino ma anche di forte valenza divulgativa e didattica: la presentazione dell’intera sequenzadegli scatti eseguiti da Lange per trovare la foto perfetta, permetterà al pubblico di comprendere il procedimento attraverso il quale nasce un’icona.Su commissione del governo americano, Lange si occupò successivamente anche della controversa vicenda dei campi di prigionia per cittadini giapponesi presenti sul territorio americano dopo l’attacco di Pearl Harbor, serie che per il suo atteggiamento critico nei confronti della politica governativa verrà sostanzialmente censurata e riportata solo molti anno più tardi. Queste fotografie – ulteriori testimonianze della profondità e della lucidità dello sguardo fotografico di Dorothea Lange, che verrà esposta per la prima volta in Italia in modo così esaustivo proprio in occasione di questa rassegna.Attraverso un’ampia selezione di opere provenienti da diversi nuclei collezionistici che conservano l’opera di Dorothea Lange (tra cui in particolare la Library of Congress di Washington, i National Archives statunitensi), la mostra si incentrerà principalmente sul periodo d’oro della carriera della fotografa, dagli anni Trenta alla Seconda Guerra Mondiale, presentando anche scatti precedenti e successivi per dare conto della varietà e della profondità della sua ricerca, sempre tesa a restituire un sincero e partecipato ritratto di ciò che la circondava. Come affermò lei stessa, “la macchina fotografica è uno strumento che insegna alla gente come vedere il mondo senza di essa”.
Nel 1923 Nino Barbantini, primo Direttore della Galleria d’Arte Moderna di Ca’Pesaro, organizzò e allestì l’importante esposizione dedicata a "Il ritratto veneziano dell’Ottocento”. La mostra riscosse grandissimo successo di pubblico e una vivace risposta della stampa. Ancora oggi e considerata una rassegna di capitale importanza per la riscoperta dell’arte veneziana di un intero secolo, per l’avvio della conoscenza dei suoi protagonisti e la valorizzazione di molti dei capolavori che vi furono esposti. L’iniziativa inaugurava anche un nuovo corso della Galleria veneziana e dell’attività di Barbantini, indirizzata, durante gli anni Venti, alla progettazione di significative esposizioni monografiche su periodi o singoli protagonisti dell’arte italiana. “Il ritratto veneziano dell’Ottocento” e inoltre centrale nella definizione della storia delle mostre e costituisce un valido e precoce esempio museografico di rassegna dedicata a un tema o a un preciso arco temporale. Il catalogo realizzato da Barbantini annovera ben 241 opere di cinquanta artisti, tra cui pittori, scultori, miniaturisti, tutti operanti dall’inizio fino al penultimo decennio del secolo, che per lo studioso si apre con Teodoro Matteini e si chiude con Giacomo Favretto. L’elenco, organizzato per ordine alfabetico, oltre a scarne notizie biografiche degli autori, riporta i nomi dei proprietari di allora. Da queste informazioni ha preso avvio lo strenuo lavoro di ricerca e di identificazione delle opere dopo cento anni dalla loro esposizione a Ca’ Pesaro. Molte di esse, anche proprio grazie al successo dell’esposizione, confluirono in raccolte pubbliche, mentre altre sono rimaste presso gli eredi o, in minima parte, sono andate definitivamente perdute. L’esposizione che Ca’ Pesaro presenta offre un’occasione unica di ricostruire la rassegna del 1923 e di vedere, di nuovo riuniti, i volti di numerosi protagonisti della societa, dell’arte, della cultura, della vita di un territorio allargato che dal capoluogo veneto si estende fino al Friuli Venezia Giulia. Non solo Venezia ma anche Treviso, Bassano, Padova, Trieste, Belluno, Udine, Pordenone, Caneva di Sacile, furono i luoghi nei quali il geniale studioso identifico gli esemplari che dimostrarono, per la prima volta, la grandezza artistica di un secolo che si era voluto dimenticare a vantaggio della mitizzazione di quello precedente.
Con la mostra inedita “Napoli / Anders Petersen” la Spot home gallery di Napoli presenta dal 21 ottobre 2023 al 31 gennaio 2024 la personale di uno dei più importanti e influenti fotografi contemporanei. Il corpus di circa sessanta fotografie in bianco e nero, di medie e grandi dimensioni, esposto in mostra è stato realizzato dall’artista svedese nel 2022 durante un mese di residenza a Napoli a cura della galleria, tra maggio, ottobre e novembre. Con uno sguardo sensibile e innocente, privo di pregiudizi e sovrastrutture, Petersen (1944, vive e lavora a Stoccolma) si è immerso nella città partenopea, catturandone la vita: persone al lavoro, in vacanza, in festa, per strada, felici e tristi, giovani e anziane, forti e fragili. Ne emerge un ritratto personale di una Napoli molto fisica, carnale, sensuale, a tratti tenera e fragile, a tratti più dura e primitiva, ma sempre trasudante una forte energia vitale. La Napoli di Anders Petersen è una città dai bianchi e neri fortemente contrastati, lontana dall’immaginario colorato cui la città è generalmente associata, ma profondamente coerente e corrispondente alle forti contraddizioni che la caratterizzano. Le fotografie di Petersen parlano della città, della sua gente, ma parlano contemporaneamente dell’autore: fotografare è per l’artista un’indagine continua su se stesso, un interrogare l’altro per scoprire qualcosa di più su di sé. Per questo, spiega: «Voglio essere il più vicino possibile in modo da poter sentire che qualunque cosa io fotografi assomigli il più possibile a un autoritratto. Voglio che le mie foto siano una parte di me, voglio riconoscervi i miei sogni, le mie paure, i miei desideri.». Il fotografo svedese si fida del suo istinto, del suo cuore e usa tutto il suo corpo e i suoi sensi quando fotografa. Le sue immagini, infatti, rivelano la sua presenza, la sua empatia e il suo amore per tutto ciò che ritrae, sia esso una persona, un animale, un luogo o un oggetto che può condurre a un'associazione inaspettata. «Anders Petersen – racconta la gallerista Cristina Ferraiuolo – non poteva che essere il primo artista in residenza. Napoli, con il suo caos e la sua umanità variegata, era il luogo ideale per un fotografo come lui». Anders combina primi piani, istantanee, ritratti posati, inquadrature sghembe, dettagli apparentemente banali, fornendoci punti di vista talvolta disorientanti, che pongono domande. E rigorosamente in verticale perché, afferma: «Quando scatti in verticale, ti avvicini di più alle persone». Dal lontano 1967, da suo primo lavoro “Cafè Lehmitz”, destinato a diventare un caposaldo nel mondo della fotografia internazionale, il fotografo svedese cattura, con un approccio diretto e sincero, la spontaneità della vita che lo circonda per coglierne il valore profondo, affettivo, nel solco di quel filone della fotografia contemporanea del quale fanno parte artisti come Daido Moriyama e Nan Goldin. Accompagna la mostra un catalogo edito da Spot home gallery.Opening sabato 21 ottobre, ore 18 alla presenza dell'artista
Dal 21 ottobre 2023 al 7 gennaio 2024 la Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti di Lucca presenta la mostra “Pensiero video. Disegno e arti elettroniche”, a cura di Andreina Di Brino, studiosa di estetiche e linguaggi dell’immagine multimediale e docente all’Università di Pisa. Tra disegni, video e videoinstallazioni di artisti nazionali e internazionali – tra cui anche la straordinaria Little Italy (1990) di Nam June Paik, padre nobile della videoarte e dell’arte performativa e tecnologica – la mostra propone un racconto che si snoda nella storia espositiva della Fondazione, che, sotto la pionieristica direzione di Vittorio Fagone, rivolse una specifica attenzione alle arti elettroniche e alla videoarte, ma anche nel quadro delle riflessioni di Carlo Ludovico Ragghianti sulla necessità di sottolineare l’importanza del disegno come medium sostanziale del processo creativo. “Pensiero video. Disegno e arti elettroniche” presenta opere di Gino De Dominicis, Lucio Fontana, Hans Namuth - Paul Falkenberg - Jackson Pollock, William Kentridge, Nalini Malani, Nam June Paik, Fabrizio Plessi, Quayola, Michele Sambin, Mario Schifano, Studio Azzurro, Grazia Toderi, Gianni Toti, Giacomo Verde, Bill Viola, Wolf Vostell: artisti scelti dalla curatrice, affiancata dal Comitato scientifico della Fondazione Ragghianti, presieduto da Sandra Lischi e composto da Fabio Benzi, Paolo Bolpagni, Martina Corgnati e Davide Turrini. Un progetto che si inserisce nello spirito di ricerca che caratterizza la Fondazione, per la quale ogni mostra è occasione e strumento di conoscenza e approfondimento su tendenze e generi non indagati sufficientemente, o su aspetti meno noti dell’attività degli artisti.
La mostra Una minima eleganza. Ex libris e piccola grafica dalla Collezione Ferruccio Proverbio, a cura di Cristina Chiesura, Edoardo Fontana e Silvia Scaravaggi, è prodotta dal Museo Civico di Crema e del Cremasco e ospitata negli spazi della Pinacoteca dal 21 ottobre 2023 al 14 gennaio 2024. A partire dal nucleo più significativo della straordinaria collezione posseduta da Ferruccio Proverbio, composta da una poderosa messe di fogli, l’esposizione accoglie anche alcuni importanti contributi provenienti da altre raccolte private, per giungere a una selezione di oltre 300 opere in grado di offrire uno spaccato indicativo di cosa sia l’ex libris e tutto ciò che rientra nel campo della “piccola grafica”.L’ex libris è un oggetto da sempre utilizzato dai bibliofili, ma anche dai semplici lettori, per indicare l’appartenenza alla propria biblioteca del libro sul quale è apposto, e quindi in maniera trasversale alla propria sfera di interesse, culturale ed estetica. La scelta, divenuta di moda, di decorarlo, nella forma che conosciamo ora sicuramente dai primi anni della stampa, con blasoni araldici e poi con figurazioni sempre più varie e astratte dal luogo di appartenenza, giunge negli ultimi anni dell’Ottocento al suo climax e contemporaneamente al momento di massima adesione ai progetti dei bibliofili da parte dei maggiori artisti attivi, che si affiancano a tutti gli ottimi “professionisti dell’ex libris” i quali, nell’ambito di una forma di alto artigianato, continuavano a disegnare e incidere in serie per i loro committenti.Sin dalla scelta del titolo, la mostra si pone l’obiettivo di mettere in luce proprio l’opera di grandi artisti che scelsero questo campo espressivo in maniera saltuaria: alcuni di loro hanno prodotto pochissimi fogli – pensiamo a Umberto Boccioni –, altri più raramente hanno operato con una certa continuità, tra questi Max Klinger, Armand Rassenfosse, František Kobliha ed Emil Orlik. Guardando le eleganti opere in miniatura spesso è possibile riconoscere tutta la poetica e il ductus dei loro autori.Così una esposizione di ex libris che raccolga i maggiori artisti prevalentemente europei, con alcune partecipazioni da altri continenti – si pensi al melvilliano statunitense Rockwell Kent – diventa l’occasione di proporre una sorta di museo totale in grado di mettere a confronto, nello spazio di diciotto teche museali, ciò che in una mostra tradizionale occuperebbe centinaia di metri lineari.La selezione dalla Collezione Proverbio prende avvio dagli ex libris simbolisti di Franz von Stuck e dalle incisioni, mutuate dalla figurazione della classicità mediterranea del maggior acquafortista tedesco della sua epoca, Max Klinger. Con lui sono presenti le carte dell’ironico e dissacrante Michel Fingesten, dei massimi esponenti del simbolismo belga, come l’onirico Fernand Khnopff, il satanico Félicien Rops, gli erotici Armand Rassenfosse e il meno conosciuto Walter Sauer, gli esoterici fogli di Charles Doudelet, Frank Brangwyn ed Edmond Van Offel, l’espressionista Frans Masereel. La Secessione Viennese è presentata dall’indiscusso genio di Gustav Klimt, con il famoso Ex libris der Vereinigung bildender Künstler Österreichs Secession, che proviene dalla Collezione Garlaschi di Milano, e dal cofondatore del movimento austriaco Alfred Roller, da Emil Orlik, dal singolare apporto di Franz Von Bayros e dalle grafiche infantiliste di Marianne Hitschmann-Steinberger. Ancora simbolisti sono gli ex libris degli artisti aderenti alla Secessione di Praga, al movimento Sursum e, più in generale di tutte le personalità provenienti dalla Mitteleuropa slava, come gli xilografi cèchi František Kobliha e Josef Váchal, e il magiaro Attila Sassy. L’espressionismo tedesco è rappresentato da Franz Mark, Conrad Felixmüller ed Emil Maetzel; uno sguardo particolare è lanciato sull’opera visionaria di Frank Sepp, artista bavarese capace di produrre immagini ambigue e goticheggianti. Non mancano raffinate grafiche di Alphons Mucha, maestro del grande formato con i suoi manifesti, qui testimoni della sua immutata abilità anche nella piccola misura; le ricercate calcografie di Sigmund Lipinsky, le distorsioni geometriche di Maurits Cornelis Escher, l’eclettismo di Jean Cocteau e le sulfuree sperimentazioni di Henry Chapront, famoso per le sue edizioni illustrate del romanzo di Joris-Karl Huysmans Là-bas.L’ex libris in Inghilterra, a partire dai geniali disegni di Aubrey Vincent Beardsley per «Yellow Book», ha trovato numerosi eccellenti esecutori, tra questi vi è certamente John Archibald Austen con suadenti immagini a forte impatto erotico – come quella selezionata a guida della mostra –, Eric Gill e il suo essenziale déco oppure il morrisiano Walter Crane e le demoniache immagini, pubblicate sulla rivista «The Golden Hind», realizzate con il consueto stile bizzarro e luciferino di Austin Osman Spare. Uno straordinario ex libris di Thomas Sturge Moore per William Butler Yeats, quelli di Robert Anning Bell e soprattutto la xilografia prodotta da Charles Ricketts per Gleeson White, si rifanno all’Aesthetic Movement inglese di fine Ottocento. Un focus particolare è riservato a Edward Gordon Craig che, regista, scenografo e attore teatrale, fu anche eccellente xilografo e disegnatore.È dedicata all’ex libris portoghese una piccola sezione: in Portogallo infatti, oltre che in Italia, ha collocazione la Collezione Proverbio. In aggiunta ai fogli di noti artisti come José de Almada Negreiros e Antonio Lima, trovano spazio alcuni ex libris istituzionali, tra cui quello ideato da Francesco Gamba per la Biblioteca italiana di Lisbona, e l’ex libris Grupo dos Amigos de Lisboa di Almada Negreiros.Gli artisti italiani sono, invece, rappresentati da alcuni dei maggiori incisori dal primo Novecento a oggi: così nelle teche del Museo Civico si potranno vedere i disegni e le incisioni liberty di Alfredo Baruffi e Guido Balsamo Stella, gli ex libris realizzati con heliogravure ritoccate da Giulio Aristide Sartorio per Gabriele D’Annunzio, le xilografie di Benvenuto Maria Disertori, di Emma Dessau Goitein e del recentemente riscoperto, proprio nell'ambito della precedente esposizione allestita nel Museo di Crema, Emilio Mantelli. Uno splendido ex libris a colori di Alfonso Bosco e soprattutto le decadenti incisioni di Raoul Dal Molin Ferenzona (entrambi gli artisti fanno parte della collezione di Emanuele Bardazzi) insieme ad Alberto Martini e Antonio Rubino – presente con il primo ex libris da lui disegnato, il cui committente è stato identificato proprio in occasione di questa mostra – figurano il versante più grottesco e orrorifico del movimento exlibristico italiano, con composizioni dove appaiono spesso teschi, creature deformi, presenze spettrali e inquietanti. Singolare l’ex libris appartenuto a Vittorio Pica e disegnato da Alberto Martini che si trova sul retro del dipinto Osteria bretone di Hermenegildo Anglada Camarasa della Collezione Stramezzi custodita nel Museo Civico di Crema e del Cremasco. Michelangiolesche sono invece le xilografie a colori di Antonello Moroni e quelle in nero del suo maestro, nonché maestro della xilografia italiana, Adolfo De Carolis. Sulla loro scia i prolifici Giulio Cisari e Francesco Fortunato Gamba. Rarissimi i fogli incisi da Duilio Cambellotti, Aldo Carpi, quello di Massimo Campigli e soprattutto l’ex libris disegnato da Umberto Boccioni e proveniente, in questo caso, dalla collezione Simone Bandirali di Crema, stampato con un cliché per Vico Baer. Più recenti le ironiche stampe a colori di Jacovitti, l’ex libris di Guido Crepax, le prospettive alterate del giuliano Tranquillo Marangoni e del triestino Furio De Denaro, fino ad arrivare al neosimbolista Agostino Arrivabene. L’esposizione è dedicata a Michele Rapisarda, collezionista e incisore recentemente scomparso, presente con alcuni ex libris da lui incisi oppure a lui dedicati.Realizzata in collaborazione con il Museo della Stampa e Stampa d’arte a Lodi “Andrea Schiavi” che ospiterà nella sua sede, durante il periodo espositivo, una piccola selezione di ex libris dedicata in particolar modo agli artisti contemporanei, la mostra è accompagnata da un catalogo edito dal Museo Civico Crema con testi critici e schede in catalogo di Emanuele Bardazzi, Mauro Chiabrando, Cristina Chiesura, ...
Dal 19 al 29 ottobre 2023 torna per la terza edizione Art Days - Napoli Campania, organizzato dall’associazione no profit Attiva Cultural Projects con la direzione artistica di Valeria Bevilacqua, Martina Campese, Raffaella Ferraro e Letizia Mari. Art Days - Napoli Campania, quest’anno alla sua terza edizione, è il primo grande evento diffuso e collettivo per l’arte contemporanea nella regione che ha come obiettivi principali la valorizzazione delle eccellenze artistiche del territorio e il dialogo tra gli attori del sistema dell’arte, offrendo loro una visibilità di respiro nazionale. Dopo il successo delle prime due edizioni con 51 eventi in 4 province per 46 enti coinvolti nel 2021 e 80 appuntamenti per 52 enti e 29 partner coinvolti nel 2022 nelle province di Napoli, Avellino, Benevento, Caserta e Salerno, e partecipazioni istituzionali quali la Reggia di Caserta, Il Museo e Real Bosco di Capodimonte e il MANN - Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il progetto diimprenditoria culturale tutto al femminile, creato da un team di giovani professioniste under-35, raggiunge la terza edizione presentando per la prima volta il concept Crossing Layers.L’offerta culturale di Art Days - Napoli Campania 2023 si articola nell’Agenda dell’Arte, che prevede l’apertura coordinata degli enti partecipanti con eventi, inaugurazioni e mostre, e in una programmazione curata dalla Direzione Artistica in collaborazione con enti e partner del territorio che si sviluppa attraverso Premi, Progetti speciali e il Public Program. Sulla scia degli eccellenti risultati raggiunti nelle precedenti edizioni, per il 2023 si riconfermano le open call per artisti emergenti Wine Wise - Metodologie della trasformazione, ospitato dall'azienda vitivinicola Agricola Bellaria nell’avellinese, e Flegreo per il contemporaneo - Art Residency al Castello di Baia (Bacoli, NA), accompagnate dal raddoppio del premio produzione per gli artisti selezionati a 1000 euro ciascuno. Altra novità della terza edizione è il premio Generazione, sviluppatoin collaborazione con la Scuola di Scultura dell’Accademia di Belle Arti di Napoli. Le open call saranno lanciate il 27 giugno e rimarranno aperte fino al 5 settembre. “La volontà di organizzare un progetto ambizioso e innovativo come Art Days - Napoli Campania, ancora unico nel suo genere nel territorio campano, nasce dalla mancanza di una grande manifestazione per l’arte contemporanea nella regione. Siamo onorate di riconfermare gli Art Days per la terza edizione e di avere l’opportunità di attivare nella città di Napoli e in altre location iconiche del territorio campano un’offerta culturale capillare che quest’anno riserva molte novità, alzando l’asticella per quanto riguarda la qualità degli eventi proposti e degli enti coinvolti” afferma la Direzione Artistica del progetto. L’edizione 2023 ha ottenuto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee, i Patrocini di Regione Campania, del Comune di Napoli, dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, della Camera di Commercio di Napoli e di Fondazione Italia Patria della Bellezza. Dal 2021, la manifestazione Art Days - Napoli Campania nasce per promuovere e valorizzare il fermento culturale presente sul territorio e attivare sinergie inedite nell’intera regione. L’iniziativa coinvolge un ampio parterre di enti per l’arte contemporanea come Musei, Fondazioni, Collezioni, Archivi, Residenze, Associazioni e Spazi Indipendenti, aprendosi a collaborazioni e partnership in ogni settore, come con gli Istituti di alta formazione e con imprese e siti dall’alto valore storico-archeologico. Per questo, si pone come coordinatore di un’offerta culturale multiforme e concordata che rispetta una logica di gratuità per la maggioranza delle iniziative proposte come mostre, inaugurazioni, eventi, performance, workshop, happening, eventi by night, talk e tanto altro.Tante sono le novità proposte per questa terza edizione, tra cui l’introduzione di un concept che identifica lo spirito della manifestazione e il suo approccio interdisciplinare. Crossing Layers è il titolo scelto per questo terzo appuntamento, con la volontà di descrivere l’assetto stratificato tipico del territorio campano e delle diverse identità che ne popolano la scena artistica. Attraversando le diverse stratificazioni partenopee e campane, Art Days punta a innestare connessioni fertili, affondando le proprie radici in un territorio in movimento perpetuo e sviluppando uno sguardo trasversale e multidisciplinare in tutta la regione. In particolare, tra i progetti si riconfermano i premi residenza WineWise - Metodologie della trasformazione – in partnership con la Cantina Agricola Bellaria di Roccabascerana (AV) – e Flegreo per il contemporaneo - Art Residency che per questa seconda edizione sarà ospitato dal Castello Aragonese di Baia (Bacoli, NA), in collaborazione con l’Associazione Aporema Onlus e con il Parco Archeologico dei Campi Flegrei. Il 2023 vede anche il raddoppio dei premi produzione conferiti agli artisti vincitori che sarà di 1000 euro ciascuno e una residenza della durata di tre settimane. Le open call – rivolte a tutti gli artisti emergenti – saranno lanciate il 27 giugno e rimarranno aperte fino al 5 settembre. Novità della terza edizione è il premio Generazione, sviluppatoin collaborazione con la Scuola di Scultura dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, frutto del fertile dialogo avviato con l’Istituto di formazione campano nel corso del 2022 con il sostegno della Coordinatrice della Scuola di Scultura, Prof.ssa Rosaria Iazzetta, e del docente Luca Petti. I giovani artisti-studenti – selezionati attraverso una giuria d’eccezione che vede il coinvolgimento della curatrice di Fondazione Morra Greco Giulia Pollicita – avranno l’opportunità di produrre delle opere site-specific per gli spazi dell’Accademia e ai due vincitori verrà conferito un premio economico offerto dal collezionista Ettore Rossetta. Questa collaborazione rispecchia uno degli obiettivi cardine degli Art Days: l'importanza della formazione e dell’apertura dei luoghi ad essa deputati della città di Napoli. A corredo dell’organizzazione di Art Days sarà presto annunciato un nuovo Comitato Scientifico, fondamentale organo di supporto e consulenza strategica. Art Days – Napoli Campania 2023 ha inoltre già ottenuto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee, i Patrocini di Regione Campania, del Comune di Napoli, dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, della Camera di Commercio di Napoli e di Fondazione Italia Patria della Bellezza – a seguito della recente vincita del bando promosso dalla stessa e dell’adozione del progetto da parte del Communication Partner Studiomeme di Bergamo, agenzia di digital communication –. La Manifestazione si realizza grazie ai numerosi partner,quali24Ore Business School, Aporema O.N.L.U.S., Collezione Agovino, Fondazione Morra Greco, Fondazione Paul Thorel, Parco Archeologico dei Campi Flegrei, ed è sostenuto da Agricola Bellaria, Collezione Fabio Frasca, Collezione Ettore Rossetta, Studio Legale e Tributario Luigi Rossi.